Il Sestiere di Cannaregio è sicuramente la zona di Venezia più popolata: è qui, infatti, che risiede la maggior parte dei cittadini ed è qui che riusciamo a trovare la parte più autentica di questa città che molto spesso, forse troppo, rischia di assomigliare più ad un museo che ad una meravigliosa realtà.
Ma sappiamo cos'è un Sestiere? Non è null'altro che una zona della città: questa è divisa in 6 parti, ed ognuna di queste prende il nome di sestiere, quello che altrove chiamiamo quartiere. Ma si sa, Venezia è particolare assai, e anche la sua toponomastica segue questa incredibile teoria.
Cannaregio è la zona che ci da il benvenuto quando giungiamo in città con il treno e si estende proprio dalla Stazione Santa Lucia fino al Ponte di Rialto, affacciandosi con una meravigliosa curva sulla Laguna Nord, mirando da lontano Murano e San Michele, attraversato da una trafficata strada d'acqua che ha l'onore di fregiarsi del termine Canale: il Canale di Cannaregio, che lega la zona con il fratello maggiore Canal Grande. Il Canale di Cannaregio è attraversato da due magnifici ponti: il Ponte dei 3 archi e il Ponte delle Guglie, la vera porta di ingresso nel Sestiere.
Il suo nome così singolare, Cannaregio, si fa derivare dalla presenza di vaste distese di canneti che popolavano la zona quando ancora era disabitata. Ma pare che possano esserci altre spiegazioni per questo termine: per alcuni Cannaregio sarebbe la storpiatura di Canal Regio, per altri invece il nome deriverebbe al fiume Marzenego che andava ad unirsi proprio con il Canal Regio, e che in alcuni documenti era chiamato Canarecio.
Tutte teorie decisamente affascinanti.
Questo quartiere così vivo e vivace, animato dalla presenza e dalle voci dei veneziani più autentichi che ciacolano (chiacchierano) per le calli, è anche lo scrigno di tesori incredibili, meraviglie dell'arte e dell'architettura che meritano sicuramente di essere godute.
Pronti a passeggiare per il Sestiere di Cannaregio e scoprire le sue bellezze? Andiamo!
Il Ghetto Ebraico
Venezia è sempre stata una città cosmopolita. Ha sempre accolto ed offerto protezione a tutti coloro i quali ne necessitavano, arrivando ad ospitare intere comunità: tra le più numerose insediatesi alla Serenissima quella greca e quella ebraica. Ma è quest'ultima che ha lasciato in città un'impronta indelebile, che ancora oggi caratterizza un'intera zona del Sestiere di Cannaregio: gli ebrei ospitati a Venezia diedero origine a quello che divenne il primo ghetto ebraico della storia, il cui termine è ormai in uso in tutte le lingue.
Visto il numero cospicuo di ebrei presenti in città, agli inizi del Cinquecento il Senato della Repubblica emanò un provvedimento con il quale assegnava a costoro una intera zona della città in cui poter risiedere. Fu scelta l'area di Cannaregio che affaccia verso la Laguna Nord, precedentemente occupata da diverse fonderie, all'interno delle quali venivano realizzati i cannoni. Ed è dal termine "gettare" i cannoni che si arrivò alla parola "getto", storpiato poi in ghetto proprio dagli ebrei che nella loro lingua pronunciavano la g in maniera piuttosto dura. Un'altra corrente di pensiero, invece, fa derivare il termine dal talmudico "ghet" che indica separazione, che è proprio il significato odierno della parola ghetto. Questa teoria non si discosterebbe molto dalla realtà dell'epoca, perchè se da un lato il Senato era stato disponibile ad offrire una casa ai nuovi comunitari, dall'altro dettò loro regole molto severe al fine di regolamentare la loro presenza e l'intera zona: il ghetto doveva essere chiuso al tramonto da pesanti portoni che poi venivano riaperti all'alba, durante le ore notturne a nessun ebreo era consentito uscire dalla propria area e circolare liberamente nel resto della città, tutti gli ebrei avevano l'obbligo di indossare sempre un berretto giallo per essere facilmente identificati e distinti dai veneziani. Gli unici mestieri, inoltre, che era concesso loro svolgere erano quelli del medico e dell'usuraio, vietato ai cristiani per motivi religiosi: questa pratica diede origini ai banchi del prestito, ed il più celebre era il Banco Rosso, tutt'ora visibile al civico 2812 del Campo del Ghetto Nuovo. La presenza di numerose regole non spaventò gli ebrei, e grazie al loro lavoro il ghetto crebbe in fretta al punto da avere la necessità di espandersi. In un primo tempo fu consentito loro arrivare ad occupare anche la zona così detta delle "fonderie vecchie", distinta da quella delle "fonderie nuove". Ma ben presto l'area diventò insufficiente per una nuova espansione e, quindi, non potendolo fare il larghezza, allora pensarono bene di farlo in altezza: furono costretti ad aggiungere piani su piani alle loro abitazioni esistenti, arrivando ad altezze assai ardite e molto insolite per il contesto veneziano, fino a che non fu consentito loro di abitare anche in altre zone della città. Ancora oggi passeggiando per il ghetto troverete i palazzi più alti della città, che arrivano ad occupare anche i 7 piani!
Il cuore del ghetto è senza dubbio il Campo del Ghetto Nuovo, cui si accede da un magnifico ponte in ghisa attorniato da due simmetriche garitte in mattoni rossi, simbolo e ricordo dell'isolamento forzato e della sorveglianza. E poi c'è il Campo del Ghetto Vecchio, che ha la particolarità di essere più nuovo del Campo del Ghetto Nuovo: questo perchè il primo campo fu realizzato durante il primo insediamento degli ebrei, quando occupavano solo la zona delle fonderie nuove, e da qui il nome. Quando poi successivamente si allargarono fino ad occupare l'area delle fonderie vecchie, nacque il Campo del Ghetto Vecchio, ereditando anch'esso il nome dalle fonderie.
Oggi l'intera area è un suggestivo luogo di studio e cultura, popolato da rabbini e seguaci della Cabala, e visitarlo vi permetterà di immergervi in un'atmosfera inconsueta dominata da codini e kippa, oggetti in stile jewish, e scandita dal suono delle litanie dei salmi che vengono quotidianamente recitati nelle cinque sinagoghe tutt'oggi presenti che vengono dette Schole: la Schola Grande tedesca, la più antica, la Schola del Cantono, la Schola Italiana, la Schola Levantina e la Schola Spagnola, realizzata addirittura da Baldassarre Longhena, archistar dello stile barocco. Un suono incredibile, che come una colonna sonora di sottofondo accompagnerà ed allieterà le vostre passeggiate.
Impensabile una visita al Ghetto senza essersi immersi anche nella loro antica tradizione culinaria, fusione di storie e popoli differenti, di elementi arabi, spagnoli e tedeschi: è la cucina kasher, governata dai dettami della religione ebraica. Mangiate i dolci ebrei, golose leccornie e degna conclusione di una piacevole passeggiata.
Il Campo dei Mori
Lasciato il Ghetto, perdendoci con curiosità tra calli e callette raggiungiamo il Campo dei Mori. Uno dei più famosi di tutta Venezia, dalla forma singolare, quasi triangolare, questo Campo è famoso per la presenza delle statue dei Mori, a cui deve il nome. Si tratta due sculture in pietra d'Istria imprigionate in piccole nicchie del Palazzo Mastelli del Cammello e che danno il benvenuto al Campo quando si accede dal ponte che attraversa il Rio della Sensa. La presenza di questi tre elementi scultorei è legata ad una singolare leggenda che affonda le radici addirittura ai primi anni dell'anno Mille! Il Palazzo dove sono incastonate le tre stature, chiamato del Cammello per la presenza del bassorilievo di un cammello in facciata, fu realizzato dalla famiglia Mastelli, arrivata a Venezia nell'anno 1113 dalla lontana Morea, attuale Peloponneso, e per questo chiamati poi dai veneziani col termine di "Mori". Oltre ai genitori, la famiglia si completava con 3 fratelli: Rioba, Sandi e Alfani. Questi commerciavano sete e spezie, merce assai preziosa al tempo e anche molto richiesta. I 3 fratelli Mastelli però non si distinguevano certo per la loro onestà, diventando noti per le loro condotte truffaldine, avendo l'abitudine di raggirare i loro clienti ai quali riuscivano a vendere merce di scarsa qualità a prezzi assai elevati. Avendo tirato su un vero tesoro con i loro affari disonesti, i fratelli presero anche in gestione una banca. Con questa nuova attività riuscirono ad imbrogliare un'anziana signora molto religiosa, la quale resasi conto di essere stata vittima di una frode per mano dei Mastelli pregò la Santa Maria Maddalena, alla quale era molto devota, di scagliare una maledizione sui 3 imbroglioni. La Santa allora si presentò ai fratelli nelle vesti di una umana signora interessata alle loro sete, e questi le risposero testuali parole "Possa il Signore trasformarci in pietra se questa non è la miglior stoffa di Venezia". Fatidiche furono le parole e l'ultimo tentativo di imbroglio: da quel giorno i 3 fratelli, insieme ad un loro servitore di cui è rimasto ignoto il nome, furono tramutati in pietra e sistemati come ornamento del Palazzo in cui dimoravano. Nel corso dell'Ottocento la statura di Rioba, la più celebre perchè è la prima che si incontra dopo aver attraversato il ponte e perchè le fu dedicato addirittura un giornale satirico chiamato "L'ombra del Sior Antonio Rioba", perse in circostanze misteriose il suo naso aquilino, sostituito in fretta con uno in metallo: da qui nacque la seconda leggenda legata ai Mori, che prevede fortuna nella vita se si riesce a sfregare il naso metallico di Rioba.
Provare per credere!
La casa di Jacopo Tintoretto
Poco dopo il palazzo in cui sono imprigionati i Mori, lungo l'omonima Fondamenta, al civico 3399 si eleva una deliziosa costruzione, di rosso vestita in pieno stile gotico veneziano: è la casa di Jacopo Tintoretto. Piuttosto alto come palazzo con i suoi 4 livelli, semplice ma allo stesso tempo curato nei dettagli, si connota soprattutto per due elementi: la deliziosa trifora del piano nobile con archi ogivali racchiusa in una cornice a cordone, e il bassorilievo di Ercole appoggiato ad una clava. La presenza di questa piccola opera ha la sua spiegazione in una antichissima leggenda che vede protagonista Marietta, la figlia dell'artista. La giovane ragazza ogni mattino, come usanza del tempo, si recava alla Chiesa della Madonna dell'Orto per ricevere la comunione. Una mattina incontrò una vecchietta che le rivelò il modo più rapido per diventare "come la Madonna", ossia conservare in un luogo segreto le ostie anzichè ingerirle. Al decimo giorno avrebbe poi avuto una rivelazione. Marietta accettò e cominciò a conservare le ostie nel giardino della casa, proprio dietro l'abbeveratoio degli animali, che cominciarono a radunarsi in modo anomalo intorno al quel punto del giardino. Il Tintoretto incuriosito da tale comportamento chiese spiegazioni alla figlia che alla fine confessò il suo segreto. L'artista conosceva questa pratica magica utilizzata dalle streghe per poter rubare l'anima le giovani fanciulle ed escogitò un piano per liberarsi della vecchia. Chiese a Marietta di aspettarla alla finestra e di invitarla ad entrare. A quel punto il padre la colpì con un bastone e la strega lanciando un urlo disumano di trasformò in un gatto ed avvolta da una nube nera uscì dall'abitazione dalla parete esterna, lasciando un enorme foro. Il Tintoretto per evitare uno spiacevole ritorno fece murare quel buco con la statua di Ercole, a guardia della sua abitazione e a ricordo dell'episodio.
In questa il Tintoretto nacque in data non certa, ma pare fosse il 1518 e vi abitò sino alla sua morte, avvenuta nel 1594. Il suo vero nome era Jacopo Robusti e il soprannome di Tintoretto lo ereditò dall'attività del padre, Battista Robusti, tintore di stoffe.
Nell'Ottocento, colui che dimorava la casa a quel'epoca, fece apporre una lapide affinchè tutti sapessero che quelle mura erano state silenziose testimoni dell'opera di una grande artista che partito da quella Fondamenta conquistò il mondo intero: "Non ignora, viandante, l'antica casa di Jacopo Tintoretto. Di qui per ogni si diffusero innumerevoli dipinti, mirabili pubblicamente e privatamente, magistralmente realizzati con fine ingegno dal suo pennello. Ti farà piacere apprendere ciò, per la solerzia del'attuale proprietario."
La Chiesa della Madonna dell'Orto
Attraversando il Campo dei Mori il Sestiere di Cannaregio ci regala una sorpresa scenografica davvero incredibile: da uno spazio angusto chiuso da alti palazzi improvvisamente si apre ai nostri occhi uno degli edifici di culto più di Venezia, la Chiesa della Madonna dell'Orto, alla quale si accede oltrepassando un semplice ponte in pietra. L'impatto visivo è magnifico, emozionante perchè la Chiesa si rivela in tutta la sua imponente mole, col suo manto rosso che pare stare là ad aspettarci.
Ad attirare la nostra attenzione è sicuramente la maestosa facciata che si erge da un Campo di piccole dimensioni connotato da una pavimentazione in cotto, raro esempio in città, perfetta sintesi del passaggio dallo stile romanico al gotico e al rinascimentale. E' suddivisa in 3 partizioni ben distinte tra loro, che anticipano quella che sarà la divisione dello spazio interno: due grandi pilasti racchiudono la parte centrale più alta nella quale si apre un grande rosone che permette il passaggio della luce del giorno all'interno, e il portone di ingresso, opera di Bartolomeo Bon, riccamente decorato con due colonnine laterali che sostengono le statue della Madonna, creazione di Antonio Rizzo e dell'Arcangelo Gabriele, e un arco ogivale sulla cui punta si eleva la figura di San Cristoforo, insieme all'Arcangelo frutto degli scalpelli di Niccolò di Giovanni Fiorentino. Il tutto si chiuse con un andamento a spiovente, arricchito come un merletto di Burano da piccoli e deliziosi archetti pensili, e da tre imponenti edicole dal gusto gotico, che amplificano la sensazione di verticalità, quasi si volesse arrivare a toccare il cielo: queste, insieme a quelle delle ali laterali conservano le statue della Prudenza, Carità, Fede, Speranza e Temperanza, arrivate dalla demolita Chiesa di Santo Stefano a Murano.
Le due parti laterali, più basse, sono caratterizzate nella prima parte da ampie finestrature con arco gotico e in quella superiore da una serie di nicchie in cui sono custodite le statue dei 12 Apostoli.
L'interno diviso in 3 navate ha un andamento planimetrico rettangolare, privo del transetto, in cui dominano il soffitto a cassettoni ligneo e la splendida pavimentazione policroma a disegni geometrici: i due elementi creano tra loro un perfetto equilibrio di arte e architettura. Lo spazio si chiude sul fondo con il presbiterio e l'abside pentagonale. Nella quattro cappelle funerarie laterali, la Chiesa conserva le spoglie di quattro importanti famiglie nobili della Serenissima: i Valier, i Vendramin, i Morosini e i Contarini.
Ma la fama della Chiesa è legata indubbiamente al nome di Jacopo Tintoretto che abitava non molto di distante da essa: qui l'artista lasciò ben 10 splendide opere e pure "se stesso", riposando le sue immortali spoglie nella cappella sinistra dell'abside.
Insieme alla Chiesa fu costruito uno splendido chiostro, riedificato poi in epoca successiva dai Canonici Regolari di San Giorgio in Alga, in uno squisito stile tardo gotico. Un quadro monocromatico di mattoni rossi su cui si fanno protagoniste le colonnine di marmo bianco che reggono archi ogivali, che vanno a creare un porticato che percorre 3 lati e si chiude con tetto a spiovente. Al centro del pavimento, anch'esso di mattoni purpurei, è una splendida vera da pozzo in pietra d'Istria dalla forma cilindrica e cornice quadrata sottostante. Oggi il Chiostro, visitabile, è utilizzato come spazio espositivo per la Biennale di Venezia.
Ma perchè questo splendido edificio di culto ha un nome così singolare, Madonna del'Orto? La spiegazione sta nella storia della sua edificazione che si muove tra realtà e leggenda.
La costruzione della Chiesa fu voluta dalla Congregazione degli Umiliati intorno alla metà del Trecento che la dedicarono a Dio, alla Beata Vergine e a San Cristoforo. Contemporaneamente il parroco della Chiesa di Santa Maria Formosa commissionava allo scultore veneziano Giovanni De Santi la realizzazione di una statua della Madonna. Il parroco però bocciò l'opera e allora l'artista la tenne per se e la sistemò nell'orto della sua abitazione. La statua cominciò così ad emanare strani bagliori e divenne molto presto meta di pellegrinaggio da parte dei fedeli veneziani e non che urlavano al miracolo. Per evitare manifestazioni di inadeguato fanatismo religioso il parroco di San Pietro di Castello consigliò allo scultore di sistemare la statua all'interno di una chiesa. Al De Santi allora venne in mente di rivolgersi ai frati della nascente chiesa di Cannaregio e chiese loro di accogliere la statua. Ma stabilì ben 3 condizioni per essere ripagato del dono che faceva: una ingente somma di denaro, di essere sepolto nella stessa dimora della statua e che venisse recitata una messa in suo onore per sempre. Furbo il De Santi! In ogni caso i frati accettarono il patto, ma non avendo mezzi sufficienti, la danarosa somma fu pagata dalla Scuola di San Cristoforo e la statua della Madonna fu collocata nella nuova chiesa. Nel 1414 il Consiglio dei Dieci concesse l'uso del termine Madonna dell'Orto.
Palazzo Donà delle Rose
Il Sestiere di Cannaregio non è però solo architetture note e blasonate, ma molto spesso anche piccoli tesori nascosti e completamente avulsi ai soliti percorsi turistici battuti da tutti. E' il caso di Palazzo Donà delle Rose.
Situato in Fondamenta Nove, il palazzo ha una storia davvero singolare ma estremamente interessante: fu edificato nel 1600 per volontà del Doge Leonardo Donà delle Rose che commissionò un palazzo dalle linee semplici e dal disegno austero, privo di qualsiasi decoro, dichiarando la ferma volontà "niente architettura per la casa del Doge". In realtà altri vedono la spiegazione di ciò nel fatto che Leonardo commissionò il progetto al frate giurista Paolo Sarpi, amico fraterno ma architetto davvero poco esperto e privo di qualsiasi competenze tecnico-artistica per poter realizzare un edificio degno di essere ricordato.
Inoltre il Palazzo si collocava anche in una posizione piuttosto isolata, nella parte più settentrionale della città, zona di recente edificazione dove prima sorgevano delle fonderie, al di fuori delle dinamiche vive della Repubblica e dalla vita mondana della Serenissima nobiltà: scelta bizzarra o ben ponderata quella di Leonardo?
Oggi quello che si presenta ai nostri occhi è un Palazzo d'angolo, con ben due splendide facciate, una su Fondamenta Nove e una sul Rio dei Gesuiti. Entrambe connotate dell'estrema semplicità, linee quasi dimesse, hanno come unico elemento esaltante la serliana del piano nobile, che riesce a regalare un piacevole stacco cromatico e formale con la superficie intonacata nel tipico rosso veneziano che le fa da fondo.
Molto più accattivante è l'interno, con lo splendido atrio e il portego del piano terra, in cui domina il magnifico pavimento marmoreo, ed il piano nobile con il suo portego su cui si aprono tutti gli altri ambienti privati della dimora: qui a trionfare è l'opulenza dello stile barocco, chiaro segnale di un rifacimento che ha visto protagonista il Palazzo tra Settecento ed Ottocento.
Pare che queste stanze videro la presenza addirittura di Galielo Galiei, di lui Leonardo diventò amico fraterno: il Doge fu, infatti, uno dei primi ad utilizzare il telescopio dell'amico e vista la sua efficacia ne autorizzò la produzione in tutta la Repubblica.
In tempi recenti Palazzo Donà delle Rose, che appartiene ancora all'omonima famiglia, è stato protagonista della serie tv The New Pope di Paolo Sorrentino, che ha scelto di girare alcune scene in questi magnifici ambienti, che hanno visto protagonista star di richiamo internazionale come Jude Law e John Malkovich
Fondamenta Ormesini e Fondamenta della Misericordia
Ok, abbiamo tanto passeggiato ed è giusto ora concederci una sosta. E a Venezia si scrive pausa e si legge spritz+cicchetti! Allora, col la mente e il cuore sazi per tutte le meraviglie di cui abbiamo goduto, tuffiamoci nella parte più mondana, viva e allegra del Sestiere di Cannaregio e facciamo godere anche il gusto. Fondamenta Ormesini e Fondamenta della Misericordia, unite tra loro dal sotoportego del Ponte dell'Aseo sono il cuore pulsante di questo Sestiere. Fondamenta Ormesini deve il suo nome all'ormesin, un tessuto in seta con quale si realizzavano drappi, importato da Ormus, nel Golfo Persico e divenuto poi molto in voga alla Serenissima: era qui che abitavano gli stranieri venuti da lontano per commerciare le loro sete. Fondamenta della Misericordia, invece, è così chiamata per la presenza della vicina Abbazia della Misericordia.
Si tratta di una delle zone più autentiche di Venezia, uno dei ritrovi serali preferiti dai veneziani, soprattutto per la presenza di bacari e ristoranti di ogni tipo, come quelli esotici, e locali con musica dal vivo, come quella jazz: una zona divertente, frizzate e freak! Di giorno però la zona è davvero molto tranquilla, e vi consentirà di immergervi nelle atmosfere veneziane più vere, quelle dove il rumore dell'acqua si mescola a quello dei vostri passi e alle voci dei veneziani che passeggiano per le calli. Popolata di case semplici e di palazzotti signorili,verrete sommersi da continue contraddizioni visive: una fila di panni stesi a destra, un raffinato decoro su una facciata a sinistra, un locale popolato e una corte sconta (nascosta), silenziosa e appartata. D'altronde Venezia è anche questo, è la città fatta di terra e acqua, di nobiltà e popolo, di arte e semplice quotidianità: un meraviglioso mix di contraddizioni che si rivelano al solo girare l'angolo, per sorprenderci ed emozionarci come poche!
Stefania Colecchia, la vostra guida per visitare al meglio Venezia
Districarsi per una città complessa come Venezia non è facile: non è semplice avere orientamento nel suo dedalo intricato di calle e callette, e spesso molto del tempo che si ha a disposizione lo si spreca perdendosi nella lettura di una mappa, nella ricerca di indicazioni sullo schermo di uno smartphone. Alla fine, si rischia di perdersi luoghi e attimi, meraviglie nascoste anche ai più blasonati motori di ricerca. La cosa migliore e allora farsi guidare da chi Venezia la conosce bene e che mette il suo sapere a nostra disposizione, per consentirci di immergerci nella città nel modo corretto, e permetterci di portarci a casa le cartoline più belle, quelle stampate nei nostri più cari ricordi.
Stefania Colecchia è la vostra miglior scelta! Nata a Mestre, da più di vent'anni è guida locale abilitata in italiano, inglese e russo. Membro dell'Associazione Best Venice Guides, nel 2019 ha conseguito la certificazione europea di T-Guide (Tourist Guides for people with Intellectual & learning difficulties) grazie al supporto organizzativo dell’ente europeo ENAT (European Network for Accessible Tourism) e della FEG (European Federation of Tourist Guides Association).
Laureata in Russo alla Cà Foscari, ha ben presto sentito che il suo cuore batteva per Venezia e per le sue meraviglie. Ha quindi studiato e lavorato alacremente per mettersi a disposizione della sua città e per far conoscere l'anima di questo luogo magico, lontano dal solito turismo mordi e fuggi, fatto tutto di menù turistici e selfie per Instagram!
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Ogni itinerario si svolge su un tempo di circa 2 ore, ma potete concordare con Stefania anche un tempo maggiore.
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Girare Venezia in compagnia di Stefania è il modo migliore per visitare al meglio la città: sarà un'esperienza che non dimenticherete!
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