Tanto, anzi tantissimo abbiamo raccontato di Venezia, e ancora tanto avremo da dire e scoprire. Eppure, sembra che questa città sia nata per stupire, sempre e comunque, di qualsiasi cosa si parli, di qualunque argomento si tratti. E così oggi scopriamo che la Serenissima non ha solo primati di bellezza e contenuti d'arte, ma ne nasconde alti, curiosi, singolari, inediti e anche divertenti. Storie e aneddoti che sicuramente vi faranno esclamare: "ma davvero?".

Pronti a scoprire con me tante prime volte?

La prima volta della parola ciao

Furono proprio i veneziani a pronunciare per primi la parola ciao, il modo più semplice per scambiarsi un saluto, divenuto poi piuttosto internazionale, quanto meno di comprensione assai diffusa. Il termine nacque a Venezia come contrazione di un'espressione di cortesia: tra calli e campielli quando si incontrava qualcuno si soleva salutarla con le parole s'ciavo vostro (schiavo vostro) manifestando una certa gentilezza nei riguardi dell'altra persona. Col tempo il termine vostro scomparve lasciando solo la parola s'ciavo: e in questa la c si pronunciava come fosse un cia, e per cui è stato facile arrivare all'attuale ciao.

Ma altri termini di uso comune nella nostra lingua sono nati a Venezia. Come la parola ghetto: questa nacque per indicare la zona della città in cui fu permesso agli ebrei di dimorare. Si trattava di un'area del Sestiere Cannaregio in precedenza occupata da alcune fonderie in cui si realizzavano i cannoni: il termine gettare i cannoni diede vita alla contrazione getto, ma pronunciandosi la g in maniera molto dura si è arrivati all'attuale ghetto. Il termine oggi indica un quartiere di una città in cui sono raggruppate delle minoranze sociali, ed è diventato poi di uso internazionale.

Anche la parola lazzaretto ha origini veneziane: per preservare la città dal morbo della peste, la Serenissima aveva imposto a tutti coloro che raggiungevano la città da terre lontane di trascorrere un periodo di quaranta giorni in isolamento, da cui nacque il termine quarantena, per assicurarsi che non fossero portatori della malattia. Come luogo si scelse un isolotto al largo della Laguna, a pochi metri dalla riva interna del Lido, a cui fu dato il nome di Santa Maria di Nazareth. Col tempo da questa espressione derivò la parola Nazarethum, fino poi ad arrivare all'attuale lazzaretto, che indica ancora oggi un particolare ospedale in cui vengono assistiti gli ammalati affetti da virus contagiosi, e tenuti in isolamento.

Il termine broglio pure nacque in Laguna, ed indica un'azione scorretta perpetrata nell'ambito di votazioni o di elezioni. La parola è diretta discendente della veneziana brolio, ossia il luogo situato in Piazza San Marco, nei pressi del Palazzo Ducale, dove un tempo sorgevano orti e giardini. Qui si cospiravano intrighi, raccomandazioni e promesse, nei concitati momenti dell'elezione del Doge. Dal nome del luogo si passò ad indicare questi atti scorretti col vocabolo brogio e con l'espressione brogiar, da cui è derivato il nostrano broglio e poi ancora imbrogliare. Da allora nulla è cambiato....


Il primo stato ad abolire la schiavitù

Fu la Repubblica Serenissima di Venezia il primo Stato ad abolire la schiavitù. I primi segnali in tal senso arrivarono nell'anno 876 dal Doge Orso Partecipazio, che promulgò una legge in cui diventava veto assoluto vendere, comprare, trasportare in mare schiavi, e tantomeno era permesso pagare qualcuno affinché li trasportasse in Laguna. Fu poi il Doge Pietro IV Candiano con una promissione del 960 a proibire del tutto la tratta di schiavi. Questo però fu solo un primo passo verso la civiltà, in quanto il divieto di commercio non escludeva però la proprietà: erano diversi i veneziani che possedevano uno schiavo, acquisito con trattativa privata. Il problema della tratta e della vendita tuttavia si ripropose e nel XV secolo furono ancora emanati dei provvedimenti legislativi volti a contenere e controllare questo fenomeno. Divennero così tante le limitazioni e le sanzioni, tra cui la confisca dei beni, che scoraggiarono a tal punto da far affievolire, fino a scomparsa totale, questo triste fenomeno. 

La prima donna laureata al mondo

Si trattava di Elena Lucrezia Corner Piscopia, ragazza molto timida e modesta, al punto da immaginare di trascorrere in convento la propria vita. Ma l'amore e la passione per lo studio occuparono sempre più spazio nella sua modesta esistenza, e così si dedicava allo studio del latino e del greco, dell'ebraico e dello spagnolo, tanto da meritarsi l'appellativo di oraculum septilingue. Si applicò molto anche per l'apprendimento della matematica e della musica, della dialettica, dell'astronomia, della filosofia e della teologia. Ed erano proprio gli studi di teologia che Elena avrebbe voluto approfondire durante il suo percorso universitario, ma questa possibilità le fu negata dalla Chiesa in quanto donna, e al tempo questa tipologia di studi erano ad appannaggio esclusivamente degli uomini. Elena "ripiegò" sugli studi di filosofia, fino a laurearsi all'università di Padova il 25 Giugno 1678 con una tesi su Aristotele, a poco più di 30 anni. Era la prima donna al mondo a conseguire la laurea. L'evento ebbe un così forte richiamo che vi assistettero circa 30 mila persone. Di seguito entrò a far parte del Collegio di medici e filosofi di Padova, ma non esercitò mai la professione. Dopo la laurea si dedicò ai bisognosi vestendo l'abito delle oblate benedettine. Morì a dopo solo 8 anni da quel giorno. 

La prima giornalista al mondo

Elisabetta Carminer Turra nacque a Venezia nel 1751 e cominciò a dedicarsi alla scrittura grazia all'aiuto del padre Domenico, col quale collaborò a "L'Europa letteraria". Il lavoro nel mondo del giornalismo la portò a fondare poi, nel 1774, un suo giornale, "Il giornale enciclopedico", divenendo così la prima direttrice editoriale al mondo: si trattava di un periodico illuminista che con il tempo e la sua direzione acquisì sempre più importanza, divenendo uno dei principali giornali del genere del tempo. Elisabetta si circondò sempre di figure di grande interesse e di spicco della scienza e della letteratura, e il salotto della sua casa di Vicenza divenne uno dei più ambiti. Morì piuttosto giovane, all'età di 45 anni a causa di un colpo al petto sferratole da un soldato ubriaco mentre assisteva ad una rappresentazione teatrale: quel colpo fu così violento che la contusione generò un tumore che la uccise dopo soli pochi mesi. 


La prima casa da gioco

Nella rigida Repubblica di Venezia il gioco d'azzardo, o comunque tutti quei giochi che prevedevano delle vincite in danaro erano severamente vietati. Il primo gioco ammesso fu quello dei dadi, e questo lo si deve ad un evento storico bizzarro e che col gioco ha davvero poco da spartire. Siamo intorno all'anno Mille quando dall'Oriente furono trasportate in città le altissime colonne che sorgono in Piazzetta San Marco, affacciate sul Bacino, con in cime il Leone alato e San Teodoro. Nessuno però trovava il modo per alzarle e metterle dritte. Passò addirittura più di un secolo, e le colonne rimasero a giacere sulla riva. La risoluzione dell'annosa problematica si ebbe nel 1172 grazie all'intuizione di Nicola Starantonio Barettiero, costruttore lombardo autore del primissimo Ponte di Rialto. La tecnica escogitata da Barettiero era geniale nella sua semplicità: l'ingegnere stabilì di bloccare la base delle colonne al suolo e di legare l'altra estremità con un fascio di corde che passando lungo il fusto delle colonne stesse, fu fissato al suolo del lato opposto della piazza. Stabilì poi di bagnare le corde perchè sapeva bene, Barattiero, che una volta asciutte si sarebbero accorciate e avrebbero sviluppato una forza di trazione così forte da riuscire a sollevare dal suolo la testa delle colonne. Pochi centimetri sufficienti per poter posizionarvi sotto delle zeppe in legno. L'operazione fu ripetuta tante volte fino a che si riuscì a sollevare le colonne del tutto. L'ammirazione e l'entusiasmo del governo della Repubblica furono tali da trasformarsi poi in riconoscenza: si decise di premiare l'ingegnere assecondando una sua richiesta: poter aprire e gestire una piccola bisca per il gioco dei dadi. Gli fu concesso e come luogo fu scelto proprio lo spazio tra le due colonne, mentre nel resto della città era ancora proibito la pratica del gioco.  

Dovettero passare dei secoli per l'inaugurazione della prima casa da gioco al mondo, il ridotto. Era il 1638 quando la Repubblica decise di cedere alle richieste di Marco Dandolo di aprire un luogo dedicato al gioco, con la funzione di casinò: si inaugurò così il Ridotto Grande in Calle Vallaresso, dove oggi nasce uno degli hotel più famosi della città, il Monaco e Gran Canal, all'interno del quale è ancora possibile ammirare le stanze affrescate e decorate di stucchi sontuosi. Tra queste la più emblematica era la stanza dei sospiri le cui mura sono testimoni silenziosi di folli partire giocate al cardiopalma con in palio ingenti somme di danaro, finanche interi palazzi o patrimoni di nobili famiglie. I ridotti potevano essere tenuti aperti però soltanto nel periodo più licenzioso dell'anno, ossia quello del Carnevale, e bisognava recarsi rigorosamente col volto coperto da una maschera. Tra i più assidui frequentatori il libertino per eccellenza, Giacomo Casanova, che finì addirittura nei piombi a causa del gioco d'azzardo.

A tirar troppo la corda, se non si accorcia si spezza....


Il primo libro tascabile

Quando Johann Gutemberg inventò i caratteri mobili della stampa, i primi libri frutto di questa nuova e geniale tecnica avevano delle dimensioni piuttosto impegnative: si trattava di volumi di enorme formato che arrivavano a pesare anche diversi chili. Impensabile considerarli trasportabili.  

La riduzione delle dimensioni dei libri stampati si deve all'astuzia di Aldo Manuzio, editore, grammatico ed umanista laziale del Quattrocento. Trasferitosi sotto l'ala del Leone di Venezia dove poteva trovare quella libertà espressiva di cui sentiva di avere bisogno, aprì la sua prima tipografia a Sant'Agostin. Era il 1494, e marchiava i suoi libri con un particolare simbolo: un ancora su cui si avvolgeva un delfino. Simbolo tutt'oggi riconosciuto, era la sintesi del suo motto "festina lente" (affrettati con calma), in cui l'ancora raffigurava la forza e il delfino la velocità.

Maunzio quindi ebbe l'intuizione, nel suo laboratorio veneziano, di ridurre le dimensione dei libri, piegando le pagine fino a raggiungere il formato in ottavo, ancora oggi in uso, in maniera che il volume così fatto potesse stare nel palmo di una mano e quindi essere facilmente maneggiato e di immediato utilizzo. Nasceva così il primo libro tascabile al mondo e si trattava de Il canzoniere di Francesco Petrarca.

Ma a Manuzio si devono ben altre invenzioni, che utilizziamo quotidianamente tutti noi, soprattutto nella scrittura: fu lui, infatti, ad introdurre il punto come chiusura di un periodo, la virgola, il punto e virgola, l'accento e l'apostrofo. Aggiunse anche la numerazione ad ogni pagina di un libro, ma soprattutto ideò la scrittura in corsivo, inclinando con eleganza il carattere romano col il quale si scriveva al tempo.


La prima proiezione cinematografica

Chiunque arrivi a Venezia, impressionato dalla sua bellezza, cerca di fermare le immagini grazie agli schermi di uno smartphone: si sale sul vaporetto e si comincia a registrare in un video le meraviglie che il Canal Grande offre. Immagini che scorrono davanti agli occhi di ognuno di noi e che si conservano per sempre grazie alle moderne diavolerie tecnologiche. Ma forse non tutti sanno che quel gesto divenuto ormai banale, consueto, ha un antenato illustre, storico: la prima proiezione cinematografica in movimento ad opera di Auguste e Louis Lumière. I fratelli francesi, ideatori del cinema moderno, arrivarono il Laguna e registrarono la prima carrellata della storia del cinema: montarono la loro cinepresa su una gondola e percorsero il Canal Grande registrando palazzi, gondole, antichi vaporetti e persone in una calda giornata di luglio. 

Era il primo passo di un rapporto che diventerà indissolubile, quello tra Venezia e il cinema, consolidato con la nascita del festival più antico del mondo: la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.


La prima opera musicale a pagamento

Nel teatro San Cassiano, durante il Carnevale del 1637, andò in scena per la prima volta al mondo un'opera musicale per un pubblico pagante. Fu una vera rivoluzione, soprattutto sociale: infatti, era la prima volta che tutti, pagando il prezzo del biglietto, potevano assistere ad uno spettacolo teatrale, fino ad allora ad esclusivo appannaggio di nobili o esponenti di spicco. Una sorta di livellamento sociale che non poteva che partire proprio nel lungo periodo carnevalesco, famoso per azzerare le diversità sociali, anche solo per divertimento. Da quel momento cambiò per sempre la concezione dell'arte musicale e teatrale, diventando spettacolo inclusivo e con caratteristiche di eguaglianza, dando vita ad una fruizione e frequentazione che arriverà poi fino ai tempi moderni e contemporanei.

La prima volta del copyright

Era il 19 Marzo 1474 quando la Repubblica di Venezia diede incarico ai Provveditori de Comun di curare ed occuparsi della registrazione dei brevetti, al fine di tutelare le menti ingegnose autrici di oggetti nuovi e scoperte interessanti, e di di evitare la falsificazione di opere e artifici da parte di altri scorretti soggetti. I falsificatori erano condannati al pagamento di una cospicua ammenda da versare all'autore dell'oggetto originale, e alla distruzione del falso. Nasceva così un antichissimo copyright