Quando visitiamo un nuovo luogo, vicino o lontano, oltre ad ammirarne le bellezze artistiche e naturali, siamo guidati da un'inevitabile curiosità verso la sua cucina. Ci avete mai fatto caso? In effetti, questa voglia di conoscere nuovi sapori, colori e odori ha un risvolto molto profondo in quanto il cibo non è solo una necessità fisica, ma, soprattutto nella nostra società, elemento di identificazione culturale.

Come dice Massimo Montanari, “Cucinare è attività umana per eccellenza, è il gesto che trasforma il prodotto di natura in qualcosa di profondamente diverso: le modificazioni chimiche indotte dalla cottura consentono di portare alla bocca un cibo, se non totalmente artificiale, sicuramente costruito”

Conoscendo il cibo locale, gli abbinamenti dei sapori, i metodi di cottura ci avviciniamo all'identità di un popolo, instaurando con esso una relazione più intima. Non solo! Attraverso la conoscenza degli ingredienti delle pietanze è possibile risalire alla sua storia, all'economia, alla religione e alle migrazioni che hanno contribuito alla sua attuale conformazione. Ad esempio, nel Medioevo la cultura alimentare ebbe un'evoluzione molto importante: l'introduzione delle spezie. Queste ultime avevano una duplice funzione di conservazione degli alimenti e di autoaffermazione dei ceti sociali più abbienti, dal momento che erano particolarmente costose in quanto provenienti da aree remote della Terra. Quindi, cucinare un piatto con le spezie, voleva essere un modo per affermare un'identità particolare. Ovviamente, nella storia della cucina vi sono tanti esempi di pietanze più “povere”, che pertanto vanno a connotare ceti sociali più popolari.

Poteva mai una città cosmopolita come Venezia essere un'eccezione? Certamente, no!

Ma cosa ci raccontano i piatti che possiamo degustare a Venezia? Venite con me, vi farò scoprire la cucina kosher del Ghetto Ebraico!

La nascita della cultura ebarica a Venezia

La storia della presenza di una comunità ebraica a Venezia, almeno nella fase più antica, è ancora oggi avvolta da zone d'ombra. La tradizione popolare vuole che il primo insediamento in città fosse nell'isola di Spinalonga che, a seguito dell'insediamento della comunità, avrebbe preso il nome di Giudecca. Certo è che commercianti ebrei effettuarono scambi con Venezia già a partire dal X secolo.

Nel 1385, il Senato sancì con la prima condotta la presenza effettiva della comunità alla quale erano prescritte delle regole precise di comportamento e per quanto concerne le attività da poter svolgere in laguna. Successivamente, nel 1516, si stabilì che la comunità ebraica di origine tedesca fosse stanziata in una zona precisa della città, nel Sestiere di Cannaregio, in cui era presente una fonderia. Gli ebrei dovevano portare dei simboli distintivi per essere sempre riconosciuti e differenziati dal resto dei cittadini, e potevano circolare liberamente in città solo in una parte della giornata: infatti fu stabilito che i due ponti di accesso fossero aperti al mattino e chiusi durante la notte e che fossero presidiati per far sì che la legge fosse rispettata. Nacque così il primo Ghetto della storia. 

Pare, tra l'altro, che il termine ghetto derivi dal termine getàr, ossia fondere, in chiaro riferimento alla fonderia presente prima nella zona.

Nel corso dei secoli, alla comunità ashkenazita tedesca si aggiunsero comunità di origini levantine e ponentine che portarono con sè abitudini molto diverse tra loro, ad esempio la prima, di stampo orientale sia per ciò che concerne l'abbigliamento che per abitudini religiose e alimentari. La seconda, portò con sè abitudini più vicine alla cultura mediterranea.

Quindi, nell'arco dei secoli fino ad oggi, Venezia ha ospitato culture eterogenee, anche se con una matrice comune, quella religiosa. 

Ciò che è nato da questa convivenza e dai suoi inevitabili scambi culturali con la popolazione autoctona è una cultura ebraico-veneziana che trova la sua esemplificazione nella cucina Kosher. 


La cucina Kosher: le 7 regole fondamentali

Cosa si intende per cucina Kosher?

Istintivamente, saremmo portati a pensare che sia la cucina tradizionale ebraica, ma non è così!

Il termine Kosher significa “adatto” “idoneo”. Non esiste un'unica cucina ebraica, ma esistono tradizioni gastronomiche che rispettano regole precise, racchiuse nella Torah, riferimento cardine della religione ebraica, che indicano quali alimenti possano essere mangiati, quali siano le modalità di preparazione degli stessi, nonché gli abbinamenti possibili. 

Così, possiamo far rientrare in questo tipo di tradizione gastronomica tutte quelle preparazioni che prevedono l'utilizzo di animali ritenuti “puri”, ossia tutti quegli animali con zoccolo fesso e ruminanti. Per quanto riguarda la carne di volatile é ammessa quella di pollo, tacchino, oca e anatra. É consentito, inoltre, mangiare pesce purché con le lische e le pinne, mentre sono da escludere i crostacei e i molluschi.

Anche la macellazione deve avvenire seguendo dei criteri ben precisi che garantiscono la Kasherut (idoneità) della carne, come l'eliminazione della maggior quantità possibile di sangue. Questa procedura viene effettuata con l'ausilio di un particolare tipo di sale, detto appunto sale kosher, che ha delle particolari caratteristiche che lo rendono idoneo alla preparazione delle pietanze legati alla tradizione ebraica: si tratta di un sale non raffinato che non contiene iodio, additivi e ha grani più grossi che aderiscono meglio alla carne, migliorandone il drenaggio.

Inoltre, non è  possibile abbinare alimenti a base di latte con la carne, gli utensili devono essere separati per non contaminare gli alimenti, e le materie prime non devono contenere insetti.

In totale 7 regole imprescindibili per la preparazione e la consumazione dei pasti.

Nella religione ebraica l'alimentazione ha un ruolo estremamente importante in quanto è un dei momenti in cui il comportamento dell'uomo deve distinguersi da quello degli animali. La tavola viene vista come mezzo di espiazione. 

Ogni pasto deve iniziare con il consumo di pane e sale, che simboleggiano rispettivamente la misericordia di Dio e la rigidità della giustizia.

Queste sono le linee guida che bisogna seguire affinché si possa ottenere la certificazione di cucina kosher.

La cucina Kosher: nascita ed evoluzione in Laguna

Come abbiamo potuto vedere, le comunità ebraiche provenivano da aree geografiche molto diverse tra loro, ma qui a Venezia si ritrovarono a convivere tutte in un'unica zona, il Ghetto. Questa reclusione, che durò fino al 1797, ovviamente poco felice da un punto di vista dei diritti umani, non riuscì a fermare un processo osmotico tra il Ghetto e il resto della Città, dando vita ad un interessante scambio culturale tra i veneziani e gli ebrei, contribuendo ad arricchire le caratteristiche della cucina ebraica-lagunare, ma anche della cucina tradizionale locale.

Ciò fu favorito dalla necessità dei cittadini di Venezia di recarsi nel Ghetto per impegnare oggetti, per recarsi nelle sinagoghe in esso presenti e per fare piccoli acquisti. In effetti, a differenza di altre città italiane, Venezia e i suoi abitanti non furono mai ostili alle comunità straniere, dimostrando una notevole apertura verso usi e costumi diversi, soprattutto culinari! Così, per la popolazione locale consumare cibi kosher rappresentò un'esperienza esotica, un modo di viaggiare pur rimanendo in città. Chi si avvicinava a questi sapori nuovi apprezzava la cura con cui questi piatti venivano preparati e il particolare bilanciamento di spezie, allora non ancora molto diffuse. 

Col passare del tempo, le due cucine finirono con l'influenzarsi reciprocamente dando origine ad alcuni dei piatti che ancora oggi caratterizzano Venezia. Tra questi troviamo le famose sarde in saor, pietanza simbolo della festa del Redentore, preparate con l'abbinamento di uvetta e pinoli, probabilmente introdotto dai ponentini della Penisola Iberica, i quali lo utilizzavano per cucinare il baccalà in agrodolce. Di derivazione ashkenazita, invece, è la tipica fugazza cole gribole, una focaccia preparata con dei pezzetti di pelle d'oca fritta. Di derivazione levantina sono tutte quelle pietanze ove le spezie fanno da elemento cardine, insieme alla frutta secca. 

Il riso zalo (riso giallo), soffritto in grasso d'oca e insaporito con lo zafferano è frutto dell'incontro del gusto tipicamente orientale per le spezie e la tradizione ashkernazita.

Anche le melazane soto azeo (melanzane sotto aceto), molto presenti sulle tavole dei veneziani, hanno le loro origini nella cucina ebraica così come i famosi bigoli in salsa, ossia un tipo particolare di spaghetti conditi con una salsa di cipolle e acciughe.

Dulcis in fundo...

Molti sono i dolci di origine ebraica che possono ancora essere gustati qui a Venezia!

Tra quelli legati alla Pèsach, la Pasqua Ebraica, vi sono le àpere, dolci morbidi dalla forma rotonda fatti con farina, uova e zucchero. 

Dolce molto diffuso in tutta la città sono le bìse, dal veneziano bissa, che richiama la forma tipica ad “S” di questi biscotti aromatizzati al limone. Ancora del periodo pasquale sono gli anezìni, biscotti all'anice e gli zuccherini, dolci secchi cosparsi di zucchero che hanno una forma di ciambella piatta.

Una delle eredità che ha lasciato la comunità ebraica sefardita alla Città di Venezia in ambito dolciario è sicuramente l'ampio utilizzo delle mandorle. Un famoso esempio ti tale influenza sono le impàde, biscotti dalla forma allungata ripieni di un impasto a base di uova, zucchero e mandorle.

Infine, tra i dolci tipici della festa di Purìm, la festa delle Sorti, comunemente definita come il Carnevale ebraico, sono le recie di Aman. Questi dolci, il cui impasto a Venezia è lo stesso utilizzato per le tradizionali sfoglie di Carnevale, sono fritti e farciti con diversi ingredienti come marmellata, mandorle, semi di papavero, uvetta, cannella, prugne o cotognata. La loro storia è legata alla liberazione del popolo ebraico da Amman da parte della regina Ester. 

Insomma, possiamo dire che una parte consistente della cultura gastronomica di Venezia sia strettamente legata alla presenza delle comunità ebraiche, confermando anche tramite la cucina il carattere fortemente cosmopolita della splendida Città lagunare.

Ancora oggi, recandosi nel Sestiere Cannaregio, varcando l'ingresso del Ghetto di cui oggi troviamo ancora i cardini dei cancelli che venivano chiusi durante le ore notturne, oltre a poter visitare le splendide Sinagoghe e il Museo Ebraico, sarà possibile gustare deliziose pietanze preparate nei diversi ristoranti della zona.