Un tempio come promessa votiva

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Opera matura del genio creativo del padovano Andrea Palladio, nasce come promessa votiva del Senato Veneto per cercare di fermare la peste che colpì Venezia nel 1575 e che registrò circa 50 mila decessi. Nel 1577 fu posata la prima pietra e dopo qualche mese la peste cessò. Il doge Alvise Mocenigo e il Patriarca, unitamente al popolo veneziano, si recarono in processione su un ponte fatto di barche verso la costruzione in fieri per ringraziare il Salvatore: era il 20 luglio 1577, e da allora la terza domenica di luglio di ogni anno si festeggia il Redentore, in memoria di quel momento.

La struttura della chiesa: l’idea di architettura di Palladio

La chiesa riproduce perfettamente l'idea di architettura di Palladio, secondo cui ogni edificio deve avere una forma che derivi dalla sua funzione e dalla sua collocazione in un determinato luogo. Per questo la mole del Redentore traduce il tempio pagano in edificio religioso nato per osannare e ringraziare il Dio, e si eleva sulla sua scalinata ripida dal sagrato del campo per trovare un distacco dalle acque della Laguna e poter accogliere la folla festante nel giorno della solenne celebrazione: viene a crearsi così un effetto scenografico che interpreta con grande suggestione la funzione celebrativa del tempio. 

E dal mondo classico Palladio riporta anche il forte senso della misura, ossia il rapporto proporzionale tra le varie parti che compongono l'edificio.

La facciata, in marmo bianco, rivela tutta la grande conoscenza tecnologica impiegata per la sua realizzazione e la grande abilità delle maestranze che vi hanno operato, magistralmente accordate da Palladio prima, e da Antonio da Ponte poi, occorso a terminare l'opera dopo il decesso dell'artista padovano nel 1580: le linee architettoniche di due tempi che si uniscono e si mescolano in un tutt'uno classico ma contemporaneo, che vede nelle acque del Canale della Giudecca il punto di vista migliore per essere mirato. Si tratta di una progettazione dettata da esigenze specifiche e che non rispecchia la composizione dello spazio interno: la scansione della facciata non corrisponde a quella della planimetria, come era già stato nelle altre chiese palladiane, San Pietro a Castello e San Giorgio Maggiore, poichè qui l'impianto è ad un'unica navata, e non c'è gerarchia alcuna da rispettare, ma deriva piuttosto da esigenze rappresentative ed esplicative del ruolo che questo edificio di culto doveva rappresentare. La grande altezza della navata centrale, che doveva essere solenne e maestosa, non consentiva a Palladio di realizzare un unico tempio, e quindi completa la fronte inserendo un attico (elemento rettangolare posto dietro il timpano triangolare) con copertura a due falde, ispirandosi al Pantheon. Questa scelta obbliga l'artista alla realizzazione di contrafforti laterali strutturali messi in sequenza ed in profondità per creare un sapiente gioco di equilibri, che viene riportato poi sul piano primario della facciata con un secondo tempio, sempre a timpano triangolare ma di altezza inferiore.

La facciata: un sapiente gioco di equilibri e simmetrie

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Il gioco di equilibri e simmetrie è magistralmente delineato anche dagli altri elementi del fronte, come le colonne che sostengono il timpano principale: le due centrali si innalzano dalla scalinata, le due laterali da alti piedistalli che colmano l'altezza della gradinata. Tra ognuna di queste coppie è collocata un'edicola con le opere di Giusto Le Court, che raffigurano San Marco e San Francesco d'Assisi. Agli spigoli del tempio minore sono invece collocate le statue di San Lorenzo e Sant'Antonio da Padova, mentre il tempio principale si chiuse con le statue della Fede contornata da due angeli. 

Il portone di ingresso, centrale rispetto a tutta la composizione, è sovrastato anch'esso da un timpano triangolare, ed il tutto crea una sovrapposizione di piani sequenza che donano profondità e movimento ad un edificio che per la classicità del suo linguaggio dovrebbe rimanere statico.

Tutta la composizione si chiude con l'alta cupola dalla forma circolare, affiancata dalle due torri campanarie con copertura a cono, che crea maggiore slancio ad una facciata così articolata e strutturata.

L’interno e la sua semplicità francescana

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La chiesa è sempre stata gestita dai frati Francescani, che avendo povertà e umiltà come loro credo, chiesero una composizione semplice e rigorosa, priva di marmi e decori, stucchi e affreschi, badacchini e tombe patrizie: l'unica meraviglia presente doveva essere il Signore, in tutta la sua magnificenza. 

L'interno porta il segno della semplicità francescana, dunque, e Palladio studiò un impianto a navata unica che avesse un richiamo con le antiche strutture termali, realizzando elementi spaziali ben definiti e rappresentati, diversi tra loro per struttura e funzione, ma sapientemente connessi ed combinati: la navata centrale, rettangolare e maestosa attorniata su ambo i lati da tre cappelle, il transetto con le due absidi laterali, il secondo transetto che grazie ad un colonnato curvo conduce al coro.

La totale assenza di marmi e stucchi a cui sono stati preferiti superfici bianche su cui esaltare i mattoni tipici dell'edilizia cittadina veneziana, regala sobrietà ed essenzialità ad un interno in cui invece domina la luce, elemento essenziale dell'architettura palladiana: la presenza di ampie finestratura consente l'ingresso della luce naturale che crea movimenti di luci e ombre potenziando i volumi e gli elementi architettonici presenti.

Poche le opere conservate all'interno: tra queste quelle di Domenico Tintoretto, Paolo Veronese, Francesco Bassano, Pietro della Vecchia.

La festa: la magica notte del Redentore

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Il tempio palladiano diviene fulcro della solenne celebrazione della Festa del Redentore, che da quel 1577 viene celebrata ogni anno, la terza domenica di luglio. Così come voluto dal doge Mocenigo, un ponte di barche, che collega la riva delle Zattere alla chiesa nel Canale della Giudecca, consente ai fedeli la lunga processione, in un clima di grande partecipazione religiosa e sentita emozione. Ma il Redentore non è solo una celebrazione religiosa, quanto piuttosto anche una vera festa che aggrega i veneziani, dell'isola e della terraferma, che ha inizio dal sabato pomeriggio. Si parte con la regata in Canal Grande, su cui sfila il meglio dell’Arsenale veneziano tra gondole e gondolete, batèle, còfani, mascarète, bragozzi, sanpieròte, sàndoli, e poi ci si ritrova poi tutti in barca, per l'occasione addobbate di festoni e vivaci luci, lungo le Fondamenta della Giudecca e delle Zattere: anticamente la festa era campestre, i veneziani si ritrovavano negli orti e nei giardini, ma con la scomparsa via via sempre più rilevante degli spazi verdi si è trasferita del tutto nelle acque del Bacino. Cullati dalle acque della Laguna, in un tripudio di luci e addobbi, si consumano anatra farcita, pesce in saor, frittelle dolci e anguria, e si beve vino, in una conviviale unione di veneziani e forestieri

Insieme si aspetta il momento culminante della festa, lo spettacolo di fuochi d'artificio, lunghi e maestosi, che squarciano con la vivacità dei loro colori il nero del cielo notturno, e si raddoppiano nel riflesso delle scure acque del Bacino: una suggestione tutta veneziana.

Il divertimento, la musica, le risate, poi la notte in barca, l'alba ed il bagno nelle acque del Lido: il Redentore, una festa che accoglie ed unisce.

Imperdibile!

prendete nota:

- Il transito solo pedonale sul ponte di barche dal molo Zattere alla Basilica del Redentore è ammesso dalle 19 di sabato 20 luglio alle 22 di domenica 21 luglio 2019;

- Alle ore 23.30 di sabato 20 luglio spettacolo pirotecnico in Bacino di San Marco;

- Regate del Redentore (stagione Remiera 2019) in Canale della Giudecca: domenica 20, ore 16 regata dei giovanissimi su pupparini a 2 remi; ore 16.45 regata su pupparini a 2 remi; ore 17.30 regata su gondole a 2 remi.