Maschere, coriandoli e tanto tanto divertimento: ovviamente stiamo parlando del Carnevale di Venezia, la festa più attesa dell‘anno in città, che vede turisti e cittadini mettersi in maschera per vivere una delle più vivaci ed apprezzate celebrazioni del Carnevale al mondo. Ma come nasce questa particolarissima tradizione?

La festa ha una tradizione molto antica (per la storia clicca qui) essendo nata per ordine della Repubblica di Venezia che con un editto concede a tutti i cittadini un festeggiamento pubblico in cui scatenare i propri eccessi, al fine soprattutto di stemperare i malumori delle classi meno abbienti. E‘ soprattutto per questo motivo che si comincia ad incoraggiare l’uso del travestimento, al fine di appianare le disparità sociali, nascondere la propria identità per concedersi dei momenti di divertimento sfrenato durante questo eccezionale evento. Una maschera celava il proprio ceto sociale, il proprio credo religioso, il sesso e lo status sociale: era un po’ come andare in scena, e sul palcoscenico più bello del mondo si recitava un ruolo diverso dalla propria identità. Per calli e campielli quando ci si incontrava riecheggiava un semplice “buongiorno signora maschera”, un saluto che azzerava tutte le differenze!

Maschere e mascareri, l'antica tradizione della Serenissima

Le tipiche maschere veneziane erano originariamente costruite con cartapesta, argilla o garza, coprivano interamente il viso e lasciavano ben poche possibilità di essere “smascherati“.

Venivano prodotte dagli appositi mascareri, ovvero quegli artigiani specializzati che vanno ad aggiungersi ad altre importanti tradizioni artigianali venete come i vetrai della vicina Murano. Addirittura i mascareri avevano un loro statuto, la mariegola, concessa dal Doge Francesco Foscarini, per gestire ed amministrare la lor professione.

Per la creazione di una maschera era un procedimento piuttosto lungo e complesso e prevedeva l’utilizzo di svariati materiali: il primo step prevedeva un disegno su carta per lo studio delle forme e delle proporzioni; si realizzava poi un modello in argilla e successivamente il calco in gesso. Questo veniva poi ricoperto con carta pesta e garze tenute insieme da una colla di farina, ed una volta asciutto veniva si staccava il calco e si otteneva la maschera, rifinita poi ai bordi e alle aperture. Si passava infine alla decorazione con un tripudio di colori, pietre preziose, ricami e piume.

Tra i travestimenti più antichi della tradizione veneziana c‘è quella della bàuta, figura sia maschile che femminile dotata di lungo mantello detto tabarro e cappello tricorno ai quali si aggiunge la maschera vera e propria: dalla forma squadrata con la particolare forma del mento appuntito e sporgente che dava la possibilità di bere e mangiare senza la necessità di toglierla dal volto, copriva il volto completamente e la particolare forma riusciva persino a camuffare il tono della voce per una trasformazione assolutamente perfetta.

Diversa invece la gnaga, maschera dalle sembianze da gatta usata più dagli uomini che dalle donne per impersonare “la femminilità“ in maniera anche goliardica, involgarendone un po‘ il linguaggio: consisteva nel travestirsi da donna ed imitare la voce con un suono piuttosto stridulo. Da qui nacque l’espressione ancora in uso "ti ga na vose da gnaga", per indicare chi ha un tono di voce stridulo o acuto

Nata inizialmente per una necessità pratica, la maschera del medico della peste, una delle piaghe più pesanti per la storia della città di Venezia: consisteva in una maschera dal lungo naso che conteneva un filtro composto da sali ed erbe aromatiche disinfettanti, rosmarino, aglio, ginepro. Col tempo questo costume ha acquistato un significato scaramantico esorcizzando non solo la peste ma ogni singola malattia da contagio. Un portafortuna praticamente

Altri personaggi come la moretta o l’omo selvadego erano molto semplici da realizzare e da interpretare: la prima consisteva in una maschera di velluto nero che si sosteneva con un bottoncino da tenere in bocca rendendo muta la persona che l’indossava; il secondo invece era proposto solitamente durante il giovedì grasso e consisteva in un travestimento di pelli di animali e di un interpretazione di uomo selvaggio, villanesco e dai comportamenti ingenui e volgari, un sempliciotto d’altri tempi.


Le maschere della Commedia dell'arte

Col passare del tempo a queste prime maschere tradizionali si aggiunsero quelle della  Commedia dell’arte ovvero un nuovo modo d’intendere lo spettacolo teatrale, che veniva prodotto con l’improvvisazione del “canovaccio“ da parte degli attori; fu introdotto dal veneziano Carlo Goldoni, autore che rivoluzionò la letteratura italiana e di conseguenza le tradizioni carnevalesche non solo a Venezia.

A partire da questo momento, l’idea del travestimento investe tutte le parti d'Italia e iniziano a svilupparsi personaggi stilizzati che variavano da regione a regione. Il teatro e la tradizione popolare iniziano a mescolarsi, tant’è vero che oggi il termine maschera viene anche utilizzato per indicare l’inserviente teatrale (o anche al cinema) che si occupa dell’accompagnamento del pubblico in sala, proprio perchè tutti coloro che lavoravano nel teatro popolare settecentesco erano obbligatoriamente mascherati. Che incantevole tradizione!

Eccole allora, le maschere della commedia italiana, famose in Italia e nel mondo e protagoniste del Carnevale veneziano):

Arlecchino, celebre maschera bergamasca, è il servo imbroglione, credulone, sciocco e sempre con un gran appetito. Legatissimo a Venezia dato che fu lo stesso Carlo Goldoni a scrivere su di lui ne “Il servitore di due padroni“, è rappresentato con un abito rattoppato da stracci colorati, un cappello ed una maschera nera che mescola i tratti di un felino e di un diavolo.

Colombina è la servetta veneziana: la vediamo spesso in coppia con Arlecchino, suo compagno di avventure ed esaspera in maniera caricaturale le caratteristiche considerate femminili dell’epoca, come la spigliatezza e la civetteria. Il suo abito è piuttosto semplice, connotato soprattutto dalle presenza di un grembiule e di una cuffietta bianca.

Pantalone è un’altra celebre maschera veneziana. Pare che il suo nome derivi da San Pantalon, assai venerato in città a cui è dedicata anche una chiesa, oppure dal termine “pantaleoni”, che soleva indicare i mercanti che alla conquista di terre straniere piantavano la bandiera col Leone del San Marco, marcando il territorio. E in effetti, la maschera di Pantalone è ritratta come un vecchio e lussurioso mercante che cerca di conquistare giovani donne, scatenando le ire dei giovani veneziani. La sua figura è ritratta con calze di colore chiaro corte sotto il ginocchio, una giubba rossa, sul capo un berretto di lana messo alla greca, ai piedi delle babucce alla turca e in vita una cintura da cui pende sempre una spada o un borsello, avvolto in un lungo mantello nero. E’ palese come questa figura incarni una certa etica del ceto dei mercanti che pur senza natali nobili si stava ritagliando il suo spazio nella società.

Balanzone, maschera legata a Bologna, conosciuto come un personaggio serioso, colto e dal carattere esageratamente presuntuoso, conosciuto ai più anche col nome di Il dottor Balanzone. Dalla grossa pancia, veste sempre una toga nera, come quella dei professori, su cui si esaltano l’ampio colletto e i polsini bianchi, completata da cappello e dal mantello.

Meneghino è la maschera della città di Milano, caratterizzato dal senso di onestà, sincerità e senso di giustizia pur essendo un personaggio della tradizione popolare. Il suo abito è  sempre molto colorato: fatto di una giacca lunga con gilet di solito giallo, pantaloni verdi corti al ginocchio e calze a righe bianche e rosse.

Pulcinella, è la celeberrima maschera napoletana: raffigura un servo spesso malinconico che fonde le caratteristiche dello sciocco, del bonaccione con una grande dose di saggezza popolare. Pare che il suo nome derivi dal termine “pulcinello”, ossia piccolo pulcino, per la forma del naso adunco, o da Puccio d’Aniello, buffone seicentesco di Acerra. Rappresentato sempre con un ampi pantaloni e lunga casacca di colore bianco, cappello a forma di “pan di zucchero” e l’inconfondibile maschera nera.

Queste ovviamente sono solo alcune delle tradizionalissime maschere italiane, alcune di esse le vedremo sicuramente per le stradine della città durante le celebrazioni di questo Carnevale 2020.

E tu quale di queste indosserai per questo Carnevale?