Penultimo giorno di Mostra del Cinema di Venezia e penultimo appuntamento con la nostra rubrica che ha provato a raccontare giorno per giorno i film, gli eventi, le emozioni che hanno animato il Lido negli ultimi dieci giorni.

La giornata si apre con la proiezione de I Predatori, inatteso e spiazzante film d’esordio di Pietro Castellitto, figlio di Sergio e della scrittrice Margareth Mazzantini, presentato in concorso per la Sezione Orizzonti. È mattina presto, il mare di Ostia è calmo. Un uomo bussa a casa di una signora: le venderà un orologio. È sempre mattina presto quando, qualche giorno dopo, un giovane assistente di filosofia verrà lasciato fuori dal gruppo scelto per la riesumazione del corpo di Nietzsche. Due torti subiti. Due famiglie apparentemente incompatibili: i Pavone e i Vismara. Borghese e intellettuale la prima, proletaria e fascista la seconda. Nuclei opposti che condividono la stessa giungla: Roma. Un banale incidente farà collidere quei due poli. E la follia di un ragazzo di venticinque anni scoprirà le carte per rivelare che tutti hanno un segreto e nessuno è ciò che sembra. E che siamo tutti predatori. “Questo è un film corale. Però, i personaggi che qui si accavallano e si sfiorano e a volte si conoscono, non lo sanno. Ognuno di loro è solo, perso in quel tratto di vita dove nessuno sembra capirti e dove tutto vorresti andasse dall’altra parte. Invertire il corso per vivere la propria speranza: è questa la battaglia che combattono. Quanto amore e quanta ferocia servano, lo scopriranno sulla loro pelle. D’altronde, essere felici, è un mestiere difficile. A volte, un mestiere da Predatori. Quando, ormai cinque anni fa, scrissi la prima versione de “I Predatori” partii da Federico. Lui è il personaggio più autobiografico del film e in lui ho catalizzato il sentimento che anche negli ambienti più “illuminati” ci siano quelle prerogative di alienazione e tristezza che possono portare un giovane ad armarsi. Non che io abbia mai pensato di mettere una bomba da qualche parte, mi riferisco piuttosto a quel carico di enorme frustrazione, tipicamente giovanile, che nasce dalla differenza che c’è tra quello che sei e quello che gli altri pensano tu sia. Un carico inquietante che può portare a gesti estremi. A me, fortunatamente, ha fatto scrivere un film. Questo.” ha raccontato il giovane regista che si è anche espresso su cosa significa essere figlio d’arte: "C'è chi, a differenza di me, frequenta i posti giusti per trovare lavoro, ma per chi vive la mia condizione gli altri vedono solo vantaggi. Non è così, a volte si prova vera frustrazione quando quel mondo in cui ti affacci ti conosce già e ti giudica".

Un’opera prima che porta in sala tematiche attuali che hanno conquistato il pubblico in sala, un film anti-borghese come lo definisce Castellitto, più che antifascista.

Nomadland è il primo film in concorso della decima giornata, diretto dalla regista cino-americana Chloè Zhao. Dopo il crollo economico di una città aziendale nel Nevada rurale, Fern carica i bagagli nel suo furgone e si mette sulla strada alla ricerca di una vita al di fuori della società convenzionale, come una nomade dei tempi moderni. Nomadland vede la partecipazione dei veri nomadi Linda May, Swankie e Bob Wells nella veste di guide e compagni di Fern nel corso della sua ricerca attraverso i vasti paesaggi dell’Ovest americano. "Quando si gira un film come questo bisogna creare un'ecosistema. Abbiamo cercato di introdurci nelle comunità di queste persone nomadi e abbiamo ascoltato le loro storie.” spiega la regista. La protagonista della pellicola è Frances McDormand, premio Oscar per Tre manifesti ad Ebbing, Missouri: “Da queste magnifiche persone, ciascuna delle quali ha messo a disposizione la propria vicenda personale, ho imparato a chiudere la bocca e ad ascoltare. Ricordandomi che l’ascolto è la parte principale di ogni attore professionista” spiega l’attrice che rileva qualche somiglianza tra il personaggio che gli ha permesso di ricevere un Oscar e Fern, “entrambe working class americane, entrambe davanti a scelte difficili della vita, entrambe devono elaborare un lutto”. Nomadland si pone nella tradizione americana del classico film on the road, il viaggio personale di una donna che abbandona la città e si avventura nella sfida del nomadismo, un film che ha ricevuto il plauso della critica e che con ogni probabilità andrà a premi.

C’è anche un po’ di Italia nel film, infatti la musica è stata composta da Ludovico Einaudi: "La natura è per me un tema fondamentale. Sono convinta che i paesaggi trasmettano dei messaggi. Per questo ho scelto la musica di  Ludovico Einaudi, mi ha molto colpito il video in cui suona tra i ghiacci dell’Artico.” così Chloè Zhao ha motivato la scelta del compositore italiano.

Arriva dall'Azerbaijan uno degli ultimi film presentati in concorso a Venezia 77, In Between Dying di Hilal Baydarov. Davud è un giovane incompreso e irrequieto in cerca della sua “vera” famiglia, coloro che nel profondo sente porteranno amore e significato nella sua vita. Quando, nel corso di una giornata, si trova a vivere una serie inaspettata di incidenti, che risulteranno fatali per diverse persone, riemergono ricordi invisibili, vicende e preoccupazioni. Davud è catapultato in un viaggio all’insegna della scoperta, nel quale non riesce a riconoscere la sua “metà mancante”, fino a quando arriva ad accettare il fatto che vivere in pericolo è il suo destino, che la morte avrà sempre la meglio rispetto alle sue vicende personali e che liberarsene sarà la sua iniziazione per addentrarsi appieno nella vita. Dopo avere intrapreso un cammino in divenire, alla fine Davud ritorna nel luogo dove ha sempre vissuto. Qui trova l’Amore ad attenderlo, ma forse è troppo tardi.

Un film virtuoso, avvolto nel mistero, un viaggio sospeso che raggiunge vette metafisiche grazie a momenti sospesi e ipnotici. Un lungometraggio interessante ma poco accessibile in quanto è difficile mantenere alta la concentrazione per l’intera durata del film. “Al centro del mio lavoro c'è l'idea della persona che cerca di comprendere le ragioni per cui vive ed è presente, qui e ora, in questo mondo. Penso a qualcuno che non sa amare e tuttavia crede nell'amore, una persona che cerca di trovare la sua vera famiglia, certa che quest'ultima porterà un significato autentico nella sua vita. In questa storia, Davud è la persona che ci ricorda le possibilità dell’amore. Volevo visualizzare il suo percorso in qualche modo, e ne è scaturito questo film. Con la mente costantemente rivolta all’insegnamento di Bresson, “prima sentire emotivamente, poi capire”, mi sono sempre concentrato sui momenti di ispirazione. Scevra da dubbi, l'ispirazione è un momento in cui le domande possono distruggere completamente la concentrazione. Mi è di grande aiuto lavorare fattivamente con un gruppo di colleghi che comprendono questo processo e lo hanno fatto completamente proprio. Inoltre sono timido e faccio fatica a comunicare con le persone che non conosco. Infatti coloro con i quali lavoro proficuamente sono per lo più la mia famiglia e alcuni amici a me molto vicini. In un ambiente come l’Azerbaijan, possono esserci molte restrizioni e limitazioni, ma confesso che le amo. In qualche modo mi hanno obbligato, così come chiunque altro, a trovare nuove modalità per dare voce ai sentimenti. Spero che questo traspaia nei miei film”, questo il commento del regista sulla propria opera, un film sostenuto da una forte coerenza artistica ma non completamente riuscito.

A domani per scoprire tutti i vincitori di questa Venezia 77.